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CURIOSITA' ULTRAKTRAIL

Il Parco Regionale delle Valli del Cedra e del Parma, meglio noto come Parco dei Cento Laghi, occupa una porzione dell'Appennino parmense orientale, al confine con le province di Reggio-Emilia e Massa-Carrara. La presenza delle diverse fasce altimetriche (dai 400 ai 1650 m s.l.m.) garantisce una notevole varietà di ambienti e un elevato grado di biodiversità. Un ambiente ancora integro, dove da secoli la natura si sposa con il vivere dell'uomo, per dare vita ad eccellenze agroalimentari conosciute e apprezzate in tutto il mondo come il Parmigiano-Reggiano DOP e il Prosciutto di Parma DOP. Un'accogliente "terra di mezzo" tra la pianura parmense e le vette del crinale del Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano.


L'Ambiente

Nato nel 1995 come Parco di Crinale dell'alta val Parma e Cedra, a seguito dell'istituzione (2001) e dell'ampiamento (2010) drel Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano, quest'Area Naturale Protetta ha riconfigurato il proprio territorio e ha cambiato la propria "missione": Non più solo tutela degli splendidi ambienti sommitali, ricchi di natura e quasi completamente disabitati, ma piuttosto valorizzazione del paesaggio rurale di media montagna, ancora ben conservato e ricco di biodiversità, agricoltura, prodotti tipici, cultura e turismo. Un territorio dove si abita, si lavora… si vive!

Le recenti ridefinizioni del perimetro hanno incrementato l'estensione del parco che, affidata la tutela delle zone di crinale al vicino Parco Nazionale, si è trasformato in una realtà più composita e varia, che si protende maggiormente verso valle. Tra le aree di Parco vero e proprio dell'alta valle del Cedra (Monchio delle Corti), con i suoi versanti modellati dalle glaciazioni quaternarie, i boschi di faggio e le praterie d'altitudine, si è aggiunta la zona di monte Caio (1.584 m), che si erge lungo la dorsale tra l'alta valle del Cedra e quella del Parma, di interesse floristico per la presenza di diverse piante termofile tra cui Cirsium bertolonii (una specie endemica dell'Appennino settentrionale), Querceti e castagneti, interrotti solo da prati e prati-pascoli, borghi storici e piccoli centri abitati sospesi nel tempo caratterizzano la selvaggia Val Bratica, paese natio del grande Poeta Attilio Bertolucci, dominata dallo splendito "balcone naturale" del Monte Navert (1657 m. sl.m.). Non mancano ambiti importanti per la fauna, che comprende specie particolarmente rare e protette come il lupo Appenninico e l'Aquila Reale.

Alle quote più basse l'area contigua, più che triplicata rispetto al 1995, ha incluso ampie porzioni di paesaggio agrario legato alle produzioni di Parmigiano-Reggiano e Prosciutto di Parma, dove si susseguono prati stabili e medicai incorniciati da piccoli boschi, siepi e filari di alberi da frutto.


Tesori naturali

L'Aquila Reale
Forse la caratteristica più importante dell’Aquila reale, tale da farne appunto il migliore emblema per le bandiere di ogni tempo, è quella della fedeltà.
Insieme per la vita, maschio e femmina di Aquila reale conquistano un territorio, nel quale restano per anni, costruendo una pluralità di nidi e scegliendo di anno in anno il più adatto.
Grande cacciatrice, l’Aquila reale può sollevare prede piuttosto pesanti, per lo più roditori o altri piccoli mammiferi. Al contrario di quel che si pensa, l’Aquila reale non costruisce il nido sulle vette più alte, ma attorno ai 2000 m, dove trova le migliori condizioni in termini di relativa abbondanza delle prede.

Grande rapace, l’Aquila reale può raggiungere gli 87 centimetri di lunghezza, per un’apertura alare che può sfiorare i 220 cm (la sola coda nella specie può misurare oltre 30 cm). Abbastanza uniforme il piumaggio, nelle varie sfumature del bruno e del castano. Solo il capo presenta striature dorate, un fatto che spiega l’origine latina (o meglio greca) del nome, che letteralmente si traduce “Aquila d’Oro”. Molte le sottospecie di Aquila reale presenti in Europa. La chrysaetos è quella con l’areale più vasto, essendo presente dall’Europa Occidentale fino alla Siberia. 
Altre sottospecie si suddividono il globo tra Nord Africa e Asia Minore, Americhe e resto dell’Asia. In Italia è presente soprattutto sulle Alpi, con importanti aree di nidificazione lungo la fascia appenninica, Sicilia e Sardegna orientale.(Fonte: www.lipu.it )
Anni di ricerche scientifiche che hanno visto impegnati il personale del Parco e volontari della LIPU hanno permesso di conoscere meglio la presenza e i comportamenti di questo super-predatore che da diversi anni nidifica stabilmente nel Parco Regionale.

A Casarola è presente un Osservatorio per birdwatching, liberamente accessibile, dal quale studiosi, appassionati o semplici curiosi, muniti di binocolo o cannocchiale, possono osservare i maestosi voli dell’Aquila Reale.
 
Le stazioni relitte di abete bianco, abete rosso e tasso 
I rari nuclei spontanei di queste tre specie che si incontrano nelle faggete del parco, dove sono custoditi maestosi esemplari secolari, rappresentano i relitti di boschi ben più estesi che in epoche remote rivestivano i rilievi appenninici.
La loro storia è legata alle alterne condizioni climatiche succedutesi su queste montagne dopo l'ultima glaciazione, che favorirono la formazione di boschi di abete bianco e in seguito di abete rosso, mentre il clima attuale, adatto al faggio, ha provocato la graduale regressione di queste conifere. Anche lo sfruttamento da parte dell'uomo del pregiato legname di abete ha accelerato il naturale declino di queste specie. 
I nuclei relitti tutelati nel parco conservano un patrimonio genetico unico e originale, utile agli studiosi per ricostruire la storia naturale di questi luoghi, e sono un prezioso serbatoio di diversità biologica per i boschi appenninici. Per queste ragioni le stazioni di conifere autoctone presenti nell'area protetta sono state interessate da due progetti dell'Unione Europea (Life Natura). Sono anche stati compiuti studi genetici sulle popolazioni appenniniche di abeti, per verificare la reale autoctonia delle stesse, e interventi forestali per favorire la conservazione delle stazioni (conversione all'alto fusto degli adiacenti boschi cedui di faggio, diradamento selettivo e rinaturalizzazione dei rimboschimenti artificiali).
Nel Parco Regionale ci sono alcune interessanti stazioni di queste specie autoctone.

 

Flora
Lungo le pendici che risalgono dai fondovalle sino a 900-1.000 m, il paesaggio vegetale risente maggiormente della secolare presenza dell'uomo: boschi misti di latifoglie governati a ceduo per la produzione di legna si alternano, prima a seminativi, poi a prati stabili per lo sfalcio e il pascolo, segnati da siepi, filari alberati e muretti a secco, più frequenti intorno ai centri abitati. 

 

Sui freschi versanti esposti a nord nei boschi misti, di origine naturale, prevalgono cerro e carpino nero, affiancati da acero campestre, orniello e sorbi; sporadica è la roverella, una quercia tipica dei versanti assolati.

 

Nel sottobosco sono frequenti maggiociondolo, nocciolo, biancospino, prugnolo e tra le erbacee abbondano le precoci fioriture di primule, ellebori, anemoni, polmonarie e viole; in estate risaltano le infiorescenze di orchidee e campanule.

 

I boschi cresciuti sui detriti morenici sono stati in passato sostituiti con castagneti da frutto, che dal dopoguerra hanno subito un lento abbandono, spesso trasformati in cedui e gradualmente invasi dalle piante dei boschi originari. 

 

Nel parco, tuttavia, sopravvivono castagneti ben curati intorno a Bosco di Corniglio e tra Casarola, Riana e Montebello, dove le chiome dei castagni ombreggiano un rado sottobosco.

 

Dai 900-1.000 m sino ai 1.700 i boschi di faggio rivestono i versanti montani, interrompendosi in corrispondenza di radure prative e affioramenti rocciosi.

 

Il clima fresco e umido e il secolare sfruttamento delle faggete hanno favorito lo sviluppo pressochè esclusivo di questa latifoglia, che forma boschi cedui in molti casi convertiti negli ultimi decenni all'alto fusto.

 

Nei punti più inaccessibili, le faggete del Parco custodiscono piccoli nuclei relitti  ed esemplari secolari di Abete Bianco, Abete Rosso e Tasso, testimonianza relitta di boschi ben più estesi che in epoche remote rivestivano i rilievi appenninici.

La loro storia è legata alle alterne condizioni climatiche succedutesi su queste montagne dopo l'ultima glaciazione, che favorirono la formazione di boschi di abete bianco e in seguito di abete rosso, mentre il clima attuale, adatto al faggio, ha provocato la graduale regressione di queste conifere.

Anche lo sfruttamento da parte dell'uomo del pregiato legname di abete ha accelerato il naturale declino di queste specie. 

I nuclei relitti tutelati nel Parco conservano un patrimonio genetico unico e originale, utile agli studiosi per ricostruire la storia naturale di questi luoghi, e sono un prezioso serbatoio di diversità biologica per i boschi appenninici.

 

Abbondanti e spettacolari sono anche le fioriture presenti nel Parco, che a volte rappresentano una vera e incredibilmente rarità come nel caso della di Primula apennina, una pianta esclusiva del crinale parmense e reggiano che, poco dopo lo scioglimento delle nevi, caratterizza gli ambienti rocciosi più inaccessibili.

 

Le sponde dei ruscelli d'alta quota e alcune conche glaciali dell’alta Val Cedra conservano la vegetazione e le fioriture tipica delle zone umide.

 

In diversi casi le depressioni lacustri che ospitavano laghi sono state colmate da torbe e hanno dato vita a quel ecosistema molto prezioso e fragile che è la torbiera.


Fauna
Tra le specie simbolo del parco il lupo Appenninico è sicuramente quella di maggiore interesse dopo che questa specie, tradizionalmente sottoposta a un'accanita persecuzione, negli ultimi anni ha conosciuto un periodo di espansione. 

A influenzarne positivamente l’attuale presenza non sono state le presunte quanto inesistenti immissioni operate dall’uomo, ma piuttosto il netto incremento delle popolazioni di prede, soprattutto ungulati, e il progressivo spopolamento della montagna e il conseguente abbandono delle pratiche agricole e forestali.

Le migliorate condizioni ambientali hanno così favorito il Lupo nella sua azione di ricolonizzazione dell’Appennino settentrionale, avendo come punto di irraggiamento le poche zone dell’Appennino centrale, dove ha saputo sopravvivere alle persecuzioni.

Il capriolo specie tipica di ambienti meno elevati, è presente grazie a una serie di passate reintroduzioni e negli ultimi anni la sua densità è in deciso aumento, mentre la specie più evidente e diffusa è il cinghiale, che risente in modo massiccio della gestione venatoria alla quale è sottoposto da decenni.

Nel parco gli uccelli sono, tra i vertebrati, il gruppo che comprende il maggior numero di specie, sia stanziali che di passo visto che i valichi appenninici rappresentano punti obbligati di transito per i migratori. 

Il passo del Lagastrello (alta Val d’Enza) è interessato da un notevole passaggio di falconiformi e columbiformi, mentre sui valichi del Cirone e della Cisa (Val Parma e Baganza) si concentra il flusso del passeriformi.

La più significativa ed affascinante delle emergenze è l'Aquila Reale che da diversi anni nidifica nelle poche e preziose pareti rocciose del Parco. Tra i rapaci sono sicuramente nidificanti falco pecchiaiolo, astore, sparviero, poiana, gheppio, lodolaio e falco pellegrino.

Tipici degli ecosistemi boschivi sono assiolo, upupa e picchio rosso minore. Dove prevale il faggio, tuttavia, si rinvengono cincia bigia, ciuffolotto e picchio rosso maggiore, mentre nei rimboschimenti artificiali di conifere sono da segnalare rampichino alpestre, cincia dal ciuffo e gufo reale. 

Torrenti e in qualche caso laghi d'alta quota sono l'habitat del raro merlo acquaiolo, una specie amante delle zone con acque limpide e corrente veloce.

La cosiddetta “fauna minore” sono tutti quegli animali, spesso dimenticati o addirittura bistrattati, che tuttavia svolgono un ruolo fondamentale negli ecosistemi. Queste specie interessano infatti la quota preponderante della fauna italiana, e riguardano i principali componenti delle catene alimentari e gli organismi essenziali per la regolazione dei cicli biologici.

Tra la fauna minore i micromammiferi sono rappresentati da toporagni, arvicole (tra le quali l'arvicola delle nevi), moscardino e ghiro. Comuni sono anche volpe tasso (che predilige le situazioni dove i prati si alternano ai boschi) donnola, faina e puzzola.

Tra i peschi la trota fario è ormai diffusamente presente nei torrenti e nei laghi del parco. 

Fra gli altri anfibi presenti, nelle pozze e in prossimità dei torrenti, sono da segnalare tritone crestato, salamandra pezzata, rospo comune, rana temporaria e rana agile, che possono essere osservati con facilità anche in aree inerbite e fresche, sotto tronchi marcescenti e pietre, e nel sottobosco.

Tra i rettili sono presenti lucertola campestre e ramarro; il serpente più diffuso, e il solo che puó rappresentare un pericolo per l'uomo, è la vipera comune.

Geomorfologia

Gli antichi ghiacciai dell'Appennino parmense
Nelle montagne appenniniche hanno lasciato tracce notevoli i processi di modellamento avvenuti durante le glaciazioni che si sono avvicendate nel Pleistocene (800.000-10.000 anni fa), quando estese porzioni dell'emisfero settentrionale vennero rivestite dai ghiacci.
Delle quattro glaciazioni che interessarono la catena, le ultime due, denominate Riss e Würm dalle vallate alpine che ne conservano le forme piú significative, hanno lasciato memoria nelle montagne parmensi. 
Del Riss, che ebbe luogo intorno a 200.000 anni fa, il Parco Regionale custodisce la sola testimonianza certa dell'Appennino settentrionale: la coltre di depositi morenici, i sedimenti eterogenei e disorganizzati trasportati dalle masse glaciali e poi abbandonati al loro ritiro, che ricopre il piano sommitale del Monte Navert verso Pian del Freddo e sino a Groppo Fosco.

Una straordinaria evidenza in tutto il crinale parmense orientale hanno invece le forme scavate dai ghiacci e i depositi morenici del Würm. 
Tutti gli specchi d'acqua che punteggiano queste montagne occupano il fondo di depressioni (circhi glaciali) scavate dai ghiacci di questo periodo, spesso sbarrate dai tipici cordoni morenici. 

Il più imponente era il ghiacciaio che scendeva lungo la valle del Parma, alimentato dalle lingue dei tre rami che oggi ne formano la testata. Nei pressi del crinale il ghiacciaio riceveva il contributo della testata della valle del Cedra, raggiungendo un'ampiezza complessiva di quasi 25 km quadrati (il piú grande apparato glaciale di tutto l'Appennino settentrionale). 

Anche il ghiacciaio della valle del Cedra raggiunse uno sviluppo notevole: dalle zone di alimentazione tra i monti Sillara e Malpasso, la lingua principale scendeva spingendosi sino all'altezza di Monchio, dove sono localizzati i depositi morenici piú bassi lasciati dalla glaciazione würmiana.

Il Flysch di Monte Caio
Sulle spettacolari pendici di Monte Navert (1657 m s.l.m.) e sul Monte Caio (1584 m s.l.m.) affiora una formazione rocciosa che prende il nome proprio da quest’ultimo massiccio montuoso: il Flysch di Monte Caio.

Il Flysch è caratterizzato da chiari strati calcarei e calcareo-marnosi, alternati a strati marnoso-argillosi piú sottili di colore scuro. 

Le arenarie del crinale
Il crinale Appennino principale, che nella zona sommatale è tutelato dal Parco Nazionale dell’Appennino Tosco Emiliano, dista poche centinaia di metri dai confini meridionali de Parco Regionale.

Il crinale ha un profilo decisamente asimmetrico, in gran parte dovuto alla diversa giacitura degli strati rocciosi nei due versanti.
Il versante toscano é scosceso e a tratti impressionante per le pareti che paiono come tagliate negli strati arenacei, mentre quello emiliano é decisamente meno acclive e sui pendii che tendono a disporsi lungo le superfici di strato si sono prodotte, e poi conservate, le piú belle morfologie glaciali di tutto l'Appennino settentrionale.
I rilievi del crinale sono interamente modellati nelle arenarie appartenenti alla Formazione del Macigno L'origine di queste arenarie é legata alla sedimentazione in ambienti marini abissali, avvenuta tra la fine dell'Oligocene e l'inizio del Miocene (30-25 milioni di anni fa), sui profondi fondali della cosiddetta avanfossa, il bacino che si era creato davanti al corrugamento appenninico embrionale, dove il ripetersi di innumerevoli episodi torbiditici portó all'accumulo di circa 1000 m di strati arenacei.

Le ofioliti
Sul margine sud-ovest dell’Area Contigua al Parco Regionale é presente un paesaggio molto singolare, con diruti rilievi come il Monte Sillara e i Groppi Rossi (questi ultimi oggi appartenenti al Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano), che spiccano sulle pendici argillose dell'ondulato crinale tra i torrenti Parma e Baganza. 
Il colore scuro dei loro spogli versanti ne tradisce la natura ofiolitica, un termine che deriva dal greco ofios (serpente) e fa riferimento alla variegata colorazione verde-nera della roccia, che ricorda la livrea di questi animali. Nel quadro della storia evolutiva dell'Appennino sono una testimonianza delle tappe piú antiche, quando al posto della catena si estendeva ancora l'Oceano Ligure, i cui fondali, come negli oceani attuali, erano formati da rocce basiche, cioé povere in silice e con abbondanti minerali di ferro e magnesio, che comprendevano porzioni vulcaniche (basalti) e plutoniche (gabbri e peridotiti).
Le ofioliti che affiorano nel parco sono inglobate in un complesso di rocce sedimentarie del Cretacico superiore, che si depositó 95-90 milioni di anni fa su fondali marini profondi.


Paesaggi

Il territorio del Parco e della sua Area Contigua, grazie alla sua notevole estensione, comprende ambienti collinare (450 m s.l.m.) in corrispondenza del fondovalle del Torrente Parma, ma anche massicci montuosi di tutto rilievo posti a ridosso del crinale appenninico principale e sulle dorsali secondarie che dallo stesso si staccano perpendicolarmente (1500/1600 m s.l.m.).
Per questi motivi il Parco è un mosaico di paesaggi sempre diversi nei quali la millenaria convivenza tra la natura e le attività umane ha dato forma ad equilibri non sempre facili, ma molto spesso davvero piacevoli e armonici. 

Dalla verde e agricola collina fino alle aree montuose dove ancora sono evidenti le tracce dell’ultima glaciazione (tra 75000 e 10000 anni fa), è un susseguirsi di ambienti diversi, ognuno con proprie caratteristiche naturali, culturali e paesaggistiche.

Questa varietà di ambienti e fasce altimetriche dà vita ad un paesaggio molto diversificato.

Alle quote più basse, da un dolce paesaggio agricolo dove i seminativi si alternano ai prati stabili, circondati da lunghe siepi e boschi misti di latifoglie.

Salendo di quota aumenta la copertura boschiva, interrotta a tratti da prati e prati-pascoli, costellata da piccoli centri abitati e attraversata da una fitta rete di strade forestali e sentieri pedonali.

Le dorsali montuose, disposte perpendicolarmente al crinale principale in direzione nord-est, disegnano una bellissima successione di piccole vallate, incise da limpidi torrenti e dominate da alcune cime che sono veri e propri “balconi” naturali (M.te Caio 1584 m, M.te Navert 1657 m, M.te Torricella 1728 m, M.te Cervellino 1492 m).

La millenaria presenza dell'uomo e delle sue attività (agricole, abitative, culturali, artistiche, ...) è parte integrante del patrimonio paesaggistico, oltreché storico-culturale, del Parco.

Dove la presenza e le attività dell'uomo sono più significative, si possono incontrare bei borghi storici, antichi resti di imponenti castelli, chiese e pievi romaniche.

Anche dove minore è l'intensità dell'opera dell'uomo il paesaggio è comunque caratterizzato da significative e belle testimonianze storico-culturali, come le tante maestà (formelle votive in marmo) che punteggiano sentieri e fontane, i muretti in pietra a secco che delimitano strade e campi, piccoli centri abitati e case sparse.

Laddove le condizioni storiche di carattere ambientale, climatico e di accessibilità hanno determinato una minore presenza dell'uomo, la natura si manifesta in forme più "autentiche", dando vita a paesaggi spettacolari e panorami mozzafiato, oltre che a isolate e "sfuggenti" emergenze che sono vere e proprie rarità.
 
In queste aree maggiormente naturali le esigenze di tutela si fanno più impellenti e cercano di conservare habitat e singole specie rare e/o minacciate, spesso dichiarate di interesse comunitario.


Storia, arte e cultura
La vita quotidiana dei montanari di queste valli, dura come nel resto dell'Appennino, é proseguita per secoli in un tranquillo isolamento, che offriva agli abitanti anche innegabili vantaggi: l'asperità dei luoghi e i prolungati inverni, ad esempio, scoraggiavano invasioni e scorrerie e l'autonomia goduta dal territorio permetteva di contenere i tributi e rendeva piú facili gli scambi (anche di contrabbando) con la Toscana e i possedimenti estensi.

Nonostante gli occasionali ritrovamenti paleolitici ed etruschi, le condizioni climatiche e le aspre morfologie del settore orientale dell'Appennino parmense non hanno storicamente favorito gli insediamenti e l'apertura di direttrici importanti.

Per contro, a partire dal medioevo, le valli dei torrenti Parma e Cedra, furono per secoli assoggettate a istituzioni feudali caratterizzate da una forte autonomia.

Il feudo di Corniglio venne trasformato in contea dai Rossi, signori di Parma, che costruirono a Bosco di Corniglio un importante castello di cui oggi non restano che alcuni ruderi. Il potere dei Rossi terminò intorno al ‘600 in occasione dell’avvento del Ducato dei Farnese.

Monchio delle Corti, invece, per quanto legato ai vescovi di Parma, fu per secoli protagonista di un’originale forma di autogoverno estesa all’alta valle del Cedra e a limitate porzioni di quelle di Bratica e Enza. 

Il governo delle 14 corti (Monchio, Casarola, Ceda, Grammatica, Lugagnano, Nirone, Pianadetto, Riana, Rigoso, Rimagna, Trefiumi, Valcieca, Valditacca, Vecciatica), che sopravvissero come istituzione sino all’epoca napoleonica, era affidato a un podestà di nomina vescovile, che ebbe sede prima a Rigoso e poi a Monchio.

Di antiche origini, come Corniglio e Monchio, anche il territorio di Tizzano val Parma, zona fertile e di facile accesso, fu sede di un feudo conteso, nella sua storia, tra diverse casate: dai Da Correggio, ai Fieschi, ai Pallavicino, ai Terzi, agli Sforza, ai Farnese, fino ai Venturi, ultimi signori di Tizzano e Ballone.
A testimonianza dell’illustre passato rimangono, alla sommità del borgo, i suggestivi resti dell’antico castello, di cui si hanno notizie a partire dal X secolo.

Tizzano ha rappresentato anche un luogo strategico dal punto di vista dell’organizzazione territoriale ecclesiastica: ubicato lungo l’antica Via di Linari, una delle arterie della Via Francigena, e sede di un Pievato, ad espressione del quale si incontra, in posizione panoramica, la Pieve di san Pietro Apostolo risalente all’XI secolo
 
I sentieri verso il crinale, percorsi da pastori e greggi e da chi si avventurava sul versante opposto per scambiare i prodotti delle valli, erano costellati di immagini sacre scolpite in lastre di marmo bianco e incorniciate da decorazioni in arenaria. 

In tutto il territorio del parco "le maestà" sono particolarmente numerose, anche se a volte dimenticate e nascoste e più speso oggetto di vergognosi furti, e si incontrano un po' ovunque, a lato delle strade, inserite nei massi erratici, lungo i sentieri che si inoltrano nei boschi e tra i pascoli, all'interno dei centri abitati.

Sono riconducibili a tre tipologie fondamentali: maestà delle case, delle fonti e delle strade, a seconda che siano poste sui muri delle abitazioni, sui frontoni delle fontane o, in forma di edicola, lungo la viabilità.

Anche in età contemporanea le forme di espressione artistica e culturale hanno lasciato  in queste valli "segni" a volte notevoli, quali ad esempio le opere poetiche che il Poeta Attilio Bertolucci ha dedicato a Casarola (paese natale del padre), o le opere pittoriche che l'artista Walter Madoi ha laciato sui muri delle case e nella Chiesa del piccolo borgo di Sesta Inferiore a Corniglio, suo "paese d'elezione" .

La storia e le tradizioni locali
I Feudi di Corniglio e Tizzano e le Corti di Monchio

Le valli dei Torrenti Parma e Cedra, per la posizione eccentrica rispetto alla città di Parma, furono per secoli assoggettate a istituzioni feudali caratterizzate da una forte autonomia.

Il feudo di Corniglio venne trasformato in contea dai Rossi, signori di Parma, ai quali rimase sino ai primi del '600 (quando entrò a far parte dei possedimenti ducali dei Farnese). Monchio delle Corti, invece, per quanto legato ai vescovi di Parma, fu per secoli protagonista di un'originale forma di autogoverno estesa all'alta valle del Cedra e a limitate porzioni di quelle di Bratica e Enza. Il governo delle 14 corti (Monchio, Casarola, Ceda, Grammatica, Lugagnano, Nirone, Pianadetto, Riana, Rigoso, Rimagna, Trefiumi, Valcieca, Valditacca, Vecciatica), che sopravvissero come istituzione sino all'epoca napoleonica, era affidato a un podestà di nomina vescovile, che ebbe sede prima a Rigoso e poi a Monchio.

Di antiche origini, come Corniglio e Monchio, anche il territorio di Tizzano val Parma, zona fertile e di facile accesso, fu sede di un feudo conteso, nella sua storia, tra diverse casate: dai Da Correggio, ai Fieschi, ai Pallavicino, ai Terzi, agli Sforza, ai Farnese, fino ai Venturi, ultimi signori di Tizzano e Ballone. A testimonianza dell'illustre passato rimangono, alla sommità del borgo, i suggestivi resti dell'antico castello, di cui si hanno notizie a partire dal X secolo.
Tizzano ha rappresentato anche un luogo strategico dal punto di vista dell'organizzazione territoriale ecclesiastica: ubicato lungo l'antica Via di Linari, una delle arterie della Via Francigena, e sede di un Pievato, ad espressione del quale si incontra, in posizione panoramica, la Pieve di san Pietro Apostolo risalente all'XI secolo.

 

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